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Circolo "Luce del Sud" Bari Blog

22/12/2007 Hotel Sheraton: La Presidente Michela Vittoria Brambilla a Bari

Ieri alle ore 10,00 presso lo Sheraton Nicolaus Hotel a Bari si è tenuto l'incontro organizzato dall' On. Marcello Vernola sul tema: "Il popolo della libertà e i valori del partito popolare europeo", ospite dell' incontro era Michela Vittoria Brambilla Presidente Nazionale dei circoli della Libertà.

C'è stato un bagno di folla per Michela Vittoria Brambilla a Bari per presentare l’organigramma pugliese del movimento. Con seimila Circoli sparsi in tutta Italia, la ‘Testarossa’ della squadra del Cavalier Berlusconi ha cominciato un tour lungo lo stivale per raccogliere adesioni e consensi. E non pochi baresi hanno risposto. Oltre ad essere accolta nella cornice di un lussuoso albergo di Poggiofranco, dall’eurodeputato e componente dell’esecutivo nazionale dei Circoli, Marcello Vernola, il coordinatore pugliese di Alleanza nazionale, Adriana Poli Bortone, e il consigliere regionale ed esponente del movimento, Ignazio Zullo. Grande la complicità tra le due donne e le attestazioni di stima (“Nutro grande stima per Adriana Poli Bortone, che ha dato un contributo grandissimo alla politica italiana”), a significare la vicinanza politica delle compagini ma a rimarcare il ‘no’ alla fusione. “I Circoli della Libertà sono nati esattamente un anno fa e sono la costola fondante del Popolo delle Libertà di Berlusconi”, ha spiegato la Brambilla. “E’ da un anno che diamo voce ai cittadini, al nostro interno si sono già riuniti tutti quegli elettori del centro-destra che vogliono e sentono nel loro cuore la necessità dell’unità sotto un grande simbolo”. In Puglia i circoli sono cinquecento, “tantissimi, la cui base associativa è costituita da giovani, donne, operatori, professionisti, cioè da tutto quel corpo sociale di cui la politica ha bisogno. E tutti loro saranno importanti per l’apporto che daranno alla politica tradizionale”. E’ racchiusa in quest’ultima frase la risposta alle polemiche sollevate ieri dal responsabile del Circolo di Taranto, Adamo Gentile. “Il progetto iniziale - aveva detto – era quella di coinvolgere la società civile e non riciclare politici. Invece ci ritroviamo con dei vertici che non solo non sono mai stati scelti dalla base, ma che hanno preso in mano le redini del nostro movimento, emarginando i protagonisti della prima ora”. D’accordo con lui, i “Giovani della Libertà”, responsabili di 80 dei 500 Circoli pugliesi. Ma la Brambilla ha proseguito: “Nei Circoli, le persone con un qualche ruolo politico minimo non sono più del 15% perché la nostra associazione ha criteri di meritocrazia: le elezioni di marzo che ufficializzeranno il movimento saranno democratiche e ogni presidente avrà voto in base agli iscritti. All’interno fermerò chi vorrà prendere spazio per interessi personali”. A una domanda di una giornalista sulle strategie di sviluppo del Mezzogiorno, la Brambilla ha risposto: “Vogliamo portare avanti un sistema politico e una gestione dello Stato in cui la Politica per il Mezzogiorno non sia qualcosa di astratto ma la realtà, perché il Mezzogiorno è una grande potenzialità che va sostenuta con grande trasparenza”. Poi, la presentazione del comitato esecutivo che traghetterà gli elettori fino alle elezioni che avverranno, ha detto il presidente dei Circoli, “solo quando tutti i Comuni saranno rappresentati”. C’erano il segretario regionale Aldo Carabellese, il suo vice Andrea Talarico, il vice-presidente nazionale Nicolucci e, per la provincia di Bari, il presidente Leo Mastrogiacomo.
(Da: http://www.barilive.it/)

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Avvisate D’Avanzo, la guerra è finita

"Puttanate", così Massimo Cacciari ad Affari ha definito l'inchiesta di Napoli su Berlusconi, e non poteva scegliere termine migliore per rappresentare emblematicamente l'atteggiamento elusivo che - specie con il silenzio - sta tenendo il centrosinistra nei confronti del Cavaliere. Nessuno dei leader del Pd ha detto una parola se non vaga sul Berlusconi indagato a Napoli. In altri tempi ci sarebbe stata la gara alla dichiarazione più salace. Ma questa volta bocche cucite e alzate di spalle imbarazzate, puttanate appunto, niente da commentare eccetto dettagli di bon ton. È ormai evidente (tranne che a qualche ultimo giapponese come D’Avanzo a Repubblica che ha firmato le recenti inchieste o in qualche procura), che il Pd ha firmato un armistizio con il Cavaliere, sotterrando l'ascia di guerra con un cambio di strategia di 180 gradi. Del resto Veltroni sa di non avere scelta: o trova un accordo per le riforme con Berlusconi e la sua forza parlamentare o si condanna il paese ad un prezzo troppo alto, all'ingovernabilità permanente, al ricatto estenuante dei partiti minori, compresi Fini e Casini. Tertium non datur. Inutile far finta di poter prescindere dal Cavaliere, che piaccia o meno Berlusconi rappresenta un quarto dell'elettorato e ha la forza per prendere decisioni che An e Udc non prenderanno mai senza il suo benestare. Trattasi di male minore, come già aveva capito D'Alema ai tempi della Bicamerale. Accordo col diavolo, diranno gli elettori di centrosinistra. Può darsi, ma si negozia con chi c'è al tavolo non coi fantasmi. E del resto sarebbe irresponsabile lasciare le cose come stanno per amore della propria purezza.


Di Giuseppe Morello


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Tasse regionali e CDL...

Colpiranno direttamente tutti i Pugliesi, i pesanti inasprimenti fiscali di Vendola, che non investiranno solo l’IRPEF e l’IRAP ma anche la benzina, il gas, i rifiuti, e che si aggiungeranno a quelli di Prodi e Visco che da soli hanno aumentato di oltre due punti la pressione fiscale complessiva, a quelli dei Comuni anch’essi accresciuti per effetto dei tagli nei trasferimenti, ed alla forte crescita in arrivo delle tariffe e dei prezzi. E li colpiranno in un momento di particolare sofferenza, con le pensioni ed i salari che piangono e con le imprese, soprattutto le piccole e medie, in difficoltà, indebolendo complessivamente un sistema-Puglia che già soffre di un calo crescente di competitività, con il possibile risultato di contribuire a deprimere lo stesso prelievo per effetto di una sostanziale erosione della base imponibile. Se l’obiettivo della rivoluzione vendoliana era quello di liberare la Puglia dalle vecchie e dalle nuove povertà, ad oltre metà del suo mandato -e cioè quando non è più decente insistere su presunte responsabilità pregresse- esso può purtroppo cominciare a dirsi inesorabilmente fallito.
Non solo, il reale deficit sanitario continua ad essere evidentemente sottovalutato (si parlava di oltre 400 milioni già alla fine del 2006), per cui anche i pesanti sacrifici richiesti oggi ai Pugliesi rischiano di vanificarsi, mentre è una chimera che si allontana sempre più il miglioramento di servizi che continueranno a degradare, anche perché il governo-Vendola, già privo di qualsiasi politica industriale come denunciato perfino dall’insospettabile triade CGIL-CISL-UIL, non si è rivelato capace nemmeno di riforme che non fossero mere petizioni di principio nel segno dell’ ideologia e di programmazioni pur urgenti e doverose quali quelle sanitarie.
A fronte di questa situazione, appaiono di maniera le reazioni delle forze sociali, che stanno di fatto sacrificando sull’altare dell’appartenenza politica (in Puglia anche Confindustria sta masochisticamente a sinistra) il loro ruolo di garanti dei diritti e degli interessi dei loro rappresentati. Per loro il rischio è quello dell’estraniazione sostanziale dal mondo di riferimento e quindi, in prospettiva, del declino e della delegittimazione.
Ed allo stato risultano ancora afone quelle di un’opposizione di Centro-destra che pure si sta vedendo incontrovertibilmente confermate le denunce di questi anni e la migliore qualità della sua pregressa esperienza di governo. Io credo che le si debba complessivamente chiedere un salto di qualità nell’azione di contrasto alle devastazioni in atto ad opera dell’unico Governo a guida comunista del mondo libero, cominciando con una grande mobilitazione unitaria di piazza che offra anche visivamente al disagio della Gente di Puglia un punto di riferimento forte e visibile e proseguendo con una più organica ed incisiva azione di documentata denuncia, nella quale ci si liberi anche da taluni impacci derivanti dalle difficoltà di adattamento in un nuovo ruolo di minoranza. Sarebbe anche un segnale prezioso a livello nazionale, documentando un’unità di base che sui valori e sulle politiche concrete non è mai venuta meno, e che deve tornare ad essere un punto di forza dell’intero sistema politico. La Puglia è già stata laboratorio politico di una coalizione di Centro-destra che è costituzionalmente maggioritaria nella società pugliese. Gli errori ed i guasti di Vendola possono aiutarla a recuperare quel suo antico ruolo di avanguardia.


di Tommaso Francavilla


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LE PAROLE NECESSARIE

Dopo l’intervista di Fausto Bertinotti a Repubblica sulla crisi terminale del governo Prodi, qualcuno ha osservato che il presidente della Camera dovrebbe astenersi da questo genere d’interventi. L’osservazione è giusta ma tardiva. L’Italia non è il Paese in cui lo speaker, all’inglese, si limiti ad applicare i regolamenti e a dirigere il traffico. È il Paese in cui le due presidenze, della Camera e del Senato, concorrono con altre cariche a formare la geometria politica del potere: una sorta di politburo, al vertice dello Stato, composto da persone scelte in ragione della loro importanza e delle forze politiche che rappresentano. Non ha alcun senso pensare che Massimo D’Alema, quando aspirava alla presidenza della Camera dopo le elezioni dell’anno scorso, desiderasse una poltrona da cui assistere, con olimpico distacco, alle vicende politiche del suo Paese.
Ed è altrettanto assurdo pensare che Bertinotti, conquistando quella poltrona, avrebbe smesso di essere un leader politico e di interessarsi alla sorte del suo partito. Ne abbiamo avute ripetute prove negli scorsi mesi leggendo le sue interviste, l’elenco delle sue udienze e le cronache dei suoi viaggi. Tutto può essergli rimproverato fuorché il peccato di reticenza e dissimulazione. Il problema, caso mai, è un altro: se un presidente della Camera possa esprimersi con tanta spietata brutalità sulle condizioni del governo alla vigilia di sedute parlamentari, alcune presiedute da lui stesso, che decideranno della sua esistenza. Qui, ammetto, il problema esiste. Ma qualcuno potrebbe osservare con ragione che le dure parole dell’intervista corrispondono alla gravità della situazione.
Non è necessario condividere i programmi politici di Bertinotti o simpatizzare con la sua parte per constatare l’esistenza di due crisi, strettamente collegate. Esiste anzitutto l’evidente crisi di un governo che è teatro di interminabili conflitti, dispone al Senato di una maggioranza evanescente e sopravvive da un voto all’altro grazie al contributo, talora casuale, di personalità eminenti ma prive di un mandato popolare. Ed esiste la crisi del sistema all’interno del quale questo governo si è formato. Bertinotti ha ragione quando osserva che la barca della Seconda Repubblica «è in mezzo al fiume e va alla deriva con un duplice difetto: le maggioranze coatte (buone per vincere ma non per governare) e il trasformismo endemico».
Da questa crisi del sistema si esce soltanto con una nuova legge elettorale e con riforme istituzionali che modifichino tutti i maggiori poteri, da quello del capo dello Stato a quello del presidente del Consiglio, da quello della Camera a quello del Senato. È possibile avere opinioni diverse sulla natura della legge elettorale (proporzionale o maggioritaria) e sulla riforma della Costituzione. Ma questa barca, se non arriva finalmente in porto e cala l’ancora, naufraga. La domanda a cui rispondere, quindi, può essere così formulata: è possibile cambiare il sistema politico con un governo che ne rispecchia così fedelmente i difetti e tiene alla propria sopravvivenza più di quanto non tenga alle riforme? (Da: http://www.corriere.it/)


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EMILIANO SBAGLIA QUANDO FA E QUANDO NON FA

Il pur amabile Michele Emiliano, ai miei occhi, finora ha avuto una straordinaria caratteristica negativa: non ha fatto, o addirittura ha disfatto, quello che avrebbe dovuto fare ed ha fatto- o ha tentato di fare- quello che avrebbe fatto meglio ad evitare. Sul terreno del suo non fare, e del suo disfare, sono purtroppo ricaduti progetti di grandissimo rilievo per le prospettive di sviluppo e di lavoro, e per la qualità stessa della vita, della Città. Penso al lungo sabotaggio del completamento della colmata di Marisabella con l’annesso asse Nord-Sud, per di più in palese contrasto con l’esaltazione della portualità in cui si è spesso prodotto lo stesso Prodi, al blocco senza reali alternative della Cittadella della Giustizia che avrebbe risolto brillantemente una questione di cui recentemente si è occupato Giandomenico Stella, agli stop inferti ai progetti sul nodo ferroviario, che ne rinvierà “sine die” la soluzione, e sulla ricostruzione del Petruzzelli che avrebbe potuto già essere riaperto. Tutte opere che avrebbe potuto personalmente inaugurare, annettendosene anche il merito come il suo predecessore ha potuto fare- per esempio- con la rivitalizzazione della Città Vecchia, sacrificate sull’altare di una pregiudiziale, ideologica discontinuità che non era esattamente il mandato che gli era stato affidato dai Baresi, che non a caso nello stesso giorno votarono massicciamente per il Centro-destra alle elezioni europee. Tutte opere che avrebbero portato lavoro ad una Comunità la cui naturale intraprendenza è continuamente mortificata dai cronici “non possumus” dell’apparato pubblico, politico e buro-giudiziario, e che infatti sta perdendo terreno e mordente.
Invece ha fatto, o ha tentato di fare, tutto quello che in realtà non serve alla Città. Penso non soltanto all’atto più o meno dovuto della demolizione di Punta Perotti in cambio del ripristino di un mucchio di sterpaglie con annesse prostitute, che ha fatto non a caso perdere voti alla sinistra rivelandosi un boomerang ad una settimana dal voto politico, ma anche ad interventi come quelli delle fontane sul lungomare e di via Sparano, che rischiano di rivelarsi un flop anche in termini di immagine, e che comunque non incideranno in alcun modo sugli assetti produttivi e sociali della Città, con in più- per via Sparano- il rischio di uccidere definitivamente, con lavori interminabili, il Centro della Città, già colpito pesantemente dall’improvvido sequestro di Piazza Battisti, e comunque con la certezza di sottrarle il verde e le panchine, riducendola ad una strada qualsiasi di mero passaggio, nel segno- incredibile a dirsi- della cementificazione fine a sé stessa. In quest’ultimo caso, poi, c’è stata una sollevazione popolare a botta di firme che il Sindaco dell’ “ascolto” non può ignorare. A meno che non intenda continuare nell’errore che ha segnato pesantemente in termini negativi i suoi primi anni, e cioè nel voler essere a tutti i costi il Sindaco di mezza-Bari, non soltanto ignorando smaccatamente l’altra mezza, ma sovente anche coprendola di gratuiti insulti, con il risultato di vederla tornare a prevalere sia alle regionali che alle politiche successive.
Se possiamo dargli un consiglio, profitti della sua elezione alla guida del PD per liberarsi dall’ipoteca dei peggiori fondamentalismi della sua coalizione, che lo spingono in direzione opposta a quella del senso comune di una Città pragmatica, sostanzialmente liberale, che vota a “destra” anche per colpa della sua sinistra.


di Tommaso Francavilla


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" La Città rifiuta il progetto di Via Sparano"

Crescendo a vista d’occhio il contrasto dei cittadini all’iniziativa della Giunta Comunale di “rifare” via Sparano, il sindaco chiama a raccolta il suo “entourage” e lo invita ad esprimere solidarietà al suo progetto. All’appello non si sottrae Franco Neglia, mai dimenticato combattivo consigliere comunale dell’opposizione ai tempi della giunta Di Cagno Abbrescia, che su queste pagine , per esprimere la sua favorevole opinione, inizia con una tesi azzardata: vale a dire che,avendo i cittadini baresi dolorose pregresse e perduranti esperienze di opere incompiute, la città ha ormai paura di sprechi e aggiunge che “di paura una città muore”.E conclude che invece, essendo nel caso di via Sparano tutto finanziato e gli oltre 4 milioni di euri già nel salvadanaio, la paura non ha ragione di esistere e pertanto allegria e via ai lavori.A Neglia mi permetto di obiettare che: a) se è vero che il “non fare” blocca una città, è vero anche che “fare tanto per fare” porta a disastri probabili quanto irrimediabili nel medio periodo; b) nel caso di via Sparano è evidente che sindaco e giunta, notoriamente sensibili alla propaganda ed in evidente difficoltà a rendere il conto ( entro la ormai prossima campagna elettorale) di quanto realizzato, hanno individuato in via Sparano ( il centro simbolico della città) un facile e pronto veicolo di visibilità onde poter affermare che “Bari si muove” e che da via Sparano rifatta e imbellettata inizia il nuovo rinascimento della città.A parte il fatto che il sindaco, quando era un fremente sostituto procuratore in cerca di altri spazi, affermava che il “nuovo rinascimento” sarebbe stato rappresentato dalla cittadella della giustizia e pur prendendo atto di come purtroppo abbia ridimensionato i suoi obiettivi a così modesti traguardi, osserviamo che, proprio per questa modestia, qualche cittadino potrebbe valutare non opportuno e scandaloso che si spendano oltre 4 milioni di euri per motivi di pura propaganda a fronte invece delle enormi e gravi difficoltà che mostra, ad esempio, il bilancio dell’assessorato alla solidarietà sociale.Quanto al progetto vincitore ( e , pare, a tutti quelli in concorso) mi si dice che già nel bando venivano imposte indicazioni vincolanti: ci si augura che ciò non sia vero perché altrimenti avremmo diritto di chiedere alla giunta per quale motivo sia stato imposto ai concorrenti l’obiettivo di fare di via Sparano una sorta di “ cannocchiale ” onde dalla stazione si possa mirare il corso Vittorio Emanuele e viceversa.Se così è stato ne dovremo concludere che la giunta aveva chiaro l’obiettivo di radere al suolo palme, vasconi e panchine. E che tale decisione giuntale non è mai stata sottoposta al vaglio del consiglio comunale come prudenza e democrazia avrebbero dovuto suggerire.Il sindaco , la giunta e Franco Neglia e tutti gli altri suoi sodali non possono quindi meravigliarsi, né adontarsi se sono costretti a registrare una vivace opposizione dei cittadini a tale inutile progetto.


di Ettore Bucciero



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SE CI FOSSE STATO PINUCCIO

Mentre Berlusconi correva nei fatidici vicoli di Bari Vecchia, inseguendo il ricordo incancellabile di Pinuccio Tatarella, mi domandavo cosa avrebbe fatto, il “Ministro dell’Armonia”, alias inventore ed artefice prima dell’alleanza di Centro-destra, nelle presenti circostanze. Ecco le risposte che mi sono dato:
A) non avrebbe mai consentito che Storace se ne andasse da AN, lenendone il disagio esistenziale con un nuovo, suadente progetto invece che sfidandolo di fatto ad andarsene nel segno della tracotanza e della sicumera;
B) avendolo perduto, non gli avrebbe mai regalato- niente meno che- Berlusconi e la rendita di posizione di AN, ribaltando rovinosamento il rapporto che originariamente lo vedeva schiacciato a destra rispetto ad un Fini più “centrale”;
C) non avrebbe assistito inerme ed infastidito alla nascita dei Circoli della libertà, ma li avrebbe infiltrati ed alimentati;
D) avrebbe aiutato concretamente Berlusconi nel tentativo di “spallata” al Governo Prodi, contattando e contrattando Senatori insieme a lui, invece che assistervi passivamente nella speranza malcelata che andasse a vuoto;
E) una volta fallito tale tentativo, non lo avrebbe imputato in fretta e furia, con improvvidi articoli e demenziali interviste, al suo alleato, ma ne avrebbe coltivato i ritorni positivi, a cominciare dalla forte presa di distanze di Dini che in un’altra Repubblica avrebbe comunque fatto cadere il Governo;
F) alla svolta del “predellino” non avrebbe reagito come una vergine stuprata, ma al contrario avrebbe gridato esultante “Finalmente”, cavalcando in positivo una novità che è esattamente quella che AN reclamava da tempo, ed esorcizzandone così anche i rischi di una sua emarginazione che la furia di Fini sta masochisticamente dilatando;
G) sarebbe andato a ricevere e salutare in pompa magna Berlusconi in casa sua, magari anche partecipando pubblicamente insieme a lui al Referendum sul nome del nuovo Partito, non facendosi scavalcare perfino da Emiliano in ospitalità, invece che assistere rancorosamente al suo trionfo come taluni imbecilli nostrani che da lui evidentemente non hanno imparato nulla.
Avendo spesso scritto, da libero battitore di Centro-destra anche per sua designazione, le cose che Pinuccio non poteva dire, mi permetto di rivolgere nel suo nome al Popolo di AN, a cominciare dai suoi generosi militanti, un appello accorato perché sappiano liberarsi dai condizionamenti nefandi dei rancori e delle ripicche personali, e proseguire coerentemente lungo le strade di Fiuggi, in fondo alle quali c’è sempre stato il bipartitismo. Magari ricordando l’ultimo Pinuccio, che teorizzava e costruiva l’”oltre il Polo” in una sorta di sostanziale auto-esilio a Bari, mentre a Roma altri si dilettavano con un fallimentare “elefantino”, nell’illusione –anche allora- di poter strappare la scena e lo scettro, dall’alto di una irrimediabile mediocrità, al più grande personaggio che la Repubblica italiana abbia espresso da De Gasperi in poi. Che, ancora una volta, ha seminato tutti, perfino nei vicoli tatarelliani di Bari Vecchia, dove ha respirato una corroborante aria di casa.

di Tommaso Francavilla


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Effetto ddl Amato-Ferrero/ Dal 2008 immigrati nuovo ago della bilancia nelle Amministrative: oltre un milione...

Cosa succedera’ se passa questa legge?

Dal 2008 in Italia ci sarà un nuovo ago della bilancia nelle elezioni amministrative: gli immigrati. Se verrà approvato il disegno di legge Amato-Ferrero, avranno diritto di voto attivo e passivo più di un milione di stranieri. Il dato, inedito, è stato calcolato dagli esperti del "Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes" e pubblicato in anteprima dal mensile di strada Terre di Mezzo.
Secondo le stime, il numero dei votanti oscillerebbe tra il milione e 100mila e il milione e 250mila: a votare infatti sarebbero gli stranieri comunitari e extracomunitari residenti in Italia da almeno 5 anni. "L'ago straniero della bilancia non è uno scherzo - scrive Carlo Giorgi su Terre di Mezzo -. A Milano, ad esempio, oggi sono circa 100mila i maggiorenni che potrebbero votare. Alle ultime elezioni Letizia Moratti ha vinto con uno scarto di 34mila voti. Il prossimo sindaco ambrosiano deve preoccuparsi insomma di piacere ai cinesi del quartiere di via Paolo Sarpi".
Il Dossier statistico ha calcolato la cifra di oltre un milione di elettori stranieri sommando più fattori. Innanzitutto i 606mila immigrati che già possono accedere alle urne: 224mila “vecchi” comunitari che dal 1992, a seguito del Trattato di Maastricht, hanno diritto di voto sia alle amministrative che alle elezioni del Parlamento europeo, più i 342mila romeni e i 20mila bulgari residenti in Italia e dal 1° dicembre 2007 cittadini europei. Infine vanno considerati i futuri elettori extracomunitari, compresi tra i 500mila e i 650mila, che possono vantare almeno 5 anni di residenza in Italia, condizione necessaria per il voto secondo il disegno di legge Amato-Ferrero.
Nel nuovo numero di Terre di Mezzo, dal titolo "L'anno che verrà", la redazione ha provato ad immaginare come sarà la vita nel 2008. E oltre ai dati sui nuovi elettori immigrati, ha anticipato i contenuti di uno studio sull'invecchiamento attivo, che l'Auser presenterà all'inizio del 2008 alle Istituzioni per chiedere una legge-quadro che riconosca il diritto delle persone anziane a rendersi utile alla società. Tra i capisaldi della nuova legge, l'educazione alla salute, l'istruzione permanente, la valorizzazione dell'associazionismo e il riconoscimento del volontariato degli anziani.


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