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Lettera aperta a Vincenzo Divella

Illustrissimo Presidente,
chi scrive, nella sua assoluta irrilevanza, fu molto critico nei confronti della sua virata a sinistra, successiva peraltro ad una sorta di pubblica profferta al miglior offerente alla quale forse la CDL fece il grave errore- con la mia altrettanto irrilevante complicità- di non corrispondere in alcun modo, che ha fatto di lei il vero valore aggiunto delle elezioni baresi e pugliesi del 2004 e del 2005, anche se in essa si poteva in qualche misura apprezzare, insieme ad un pizzico di cinismo aristocratico e di irrefrenabile vocazione al protagonismo, anche un certo spirito di servizio che avevamo tutti avuto modo di verificare alla guida di Confindustria prima e della Camera di Commercio di Bari poi.
Non feci mancare, dai miei modestissimi pòdi mediatici, la mia irriverente polemica nei confronti dei suoi innamoramenti intellettuali, che la portarono financo ad umiliare le sue orecchie con un ridicolo orpello indegno di loro, e che comunque fecero di lei, con la sua storia personale e familiare, un decisivo garante per un comunista che si proponeva alla guida di una Regione di destra, oltre che un formidabile e determinante supporter elettorale diretto, e forse anche non solo elettorale.
Da allora però ho seguito con crescente solidarietà le sue altrettanti crescenti sofferenze in una coalizione che pur le doveva praticamente tutto.
L’ho vista subire una serie ininterrotta di affronti sguaiati e talora anche gratuiti da parte del suo compagno di battaglia e di vittoria del 2004, probabilmente consapevole che il designato vero alla guida di Bari era lei, prima che un’”onda” mai tanto anomala e devastante creasse le condizioni per la più inetta e distruttiva delle amministrazioni che la nostra Città abbia avuto.
L’ho sentita inutilmente esporsi a favore di provvedimenti di assoluto buonsenso, come la prosecuzione dei programmi pregressi in materia di completamento della colmata di Marisabella, di ricostruzione e riattivazione del Petruzzelli, di Cittadella della Giustizia, subissato dalla furia iconoclasta di un ideologismo oscurantista che è il contrario esatto della sua cultura industriale, incentrata sul fare, sul consentire, sull’innovare.
L’ho vista umiliare sistematicamente, anche dal suo beneficiato principale, alias il poeta con l’orecchino, ogni volta che si permetteva di chiedere il rispetto di qualche impegno o formulare una qualsiasi proposta, fosse anche una candidatura locale per la guida del Porto di Bari, e- con la complicità del sullodato- dal suo screanzatissimo dirimpettaio del Municipio, che si è spinto fino a profittare delle sue vacanze per insediarsi in prima persona alla presidenza del Consorzio ex-Asi, con buona pace della “società civile” a partire dai ceti produttivi che in lei si erano riconosciuti all’atto della svolta politica di cui sopra.
L’ho vista malinconicamente solo in un Consiglio Provinciale sistematicamente disertato dalla sua maggioranza anche dopo i suoi più accorati appelli.
L’ho vista praticamente ignorata, nonostante qualche salamelecco iniziale, nel processo costitutivo del “Partito democratico” pugliese, affidato al suo peggior nemico con uno schiaffo diretto sul Suo accogliente faccione.
L’ho vista, infine, financo sbugiardata da quei mentecatti dei mastelliani, che Le hanno preferito gli interessi personali di uno storico portaborse, ed ai quali pure Lei –con una forse anche velleitaria “Cosa bianca”, aveva comunque preparato una prospettiva politica succulenta, che ne avrebbe fatto dei protagonisti invece che dei questuanti gregari, offrendo ad essa il prestigio decisivo del Suo nome.
Adesso vedo che si è di nuovo offerto al rutilante partitone che La ha di fatto respinta soltanto qualche settimana fa, forse nell’illusione che la promessa che le fu fatta quando scese in campo, e che non era stata onorata nel momento più propizio, possa esserlo oggi, con una enorme, ringalluzzatissima nomenclatura già in coda per onori e prebende.
E se invece- mi permetta, signor Presidente- Ella prendesse finalmente atto, recuperando il suo pragmatismo imprenditoriale, che da quella parte sostanzialmente non La vogliono per la semplice ragione che Lei, con il comunismo più o meno mascherato o orecchinato, non c’azzecca proprio nulla, anche perché per lorsignori, portatori cronici di partitocrazia, la “società civile” è buona quando si vota, ma deve avere la bontà di farsi da parte subito dopo?
Lo sa che, al di fuori dei confini sempre più chiusi ristretti e maleodoranti dell’”Unione”, c’è un’altra Italia, un’altra Puglia, un’altra Bari, che interpretano- anche se potrebbe certamente farlo meglio, magari anche con il suo aiuto- quella cultura dello sviluppo in cui Lei si riconosce e che invano ha tentato di veicolare laddove non era strutturalmente veicolabile, che si battono da sempre a viso aperto contro i Suoi sfruttatori, e che sono tornatr ad essere maggioritaria, in Puglia ed a Bari fin dalle scorse, elezioni politiche, nelle quali i suoi voti sarebbero addirittura determinanti per evitare all’intero Paese la disgrazia del Governo Prodi-Visco-Pecoraro Scanio?
Perché, dalla prigione non proprio dorata che le hanno stretto intorno, non alza gli occhi, signor Presidente, magari verso gli orizzonti limpidi ed aperti della Libertà, verso una Casa che è naturalmente anche la sua?



di Tommaso Francavilla


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Il "Gazebo della Libertà" a Bari

Sabato 27 e Domenica 28 ottobre in P.zza Umberto
ad angolo tra Via Sparano e Via Nicolai sarà presente a Bari il "Gazebo della Libertà" del Circolo "Luce del Sud" e del Circolo "La Svolta" allestito per le giornate organizzate sul problema della "Sicurezza". Gli orari per tutti coloro che vorranno visitare il Gazebo sono per Sabato dalle ore 10,00 alle 13,00 e dalle 17,00 alle 20,00, per Domenica dalle ore 10,00 alle 13,00.

Vi aspettiamo numerosi!!


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Costituzione, le riforme e l’antipolitica

Uno dei paradossi che caratterizzano la nostra democrazia può essere così
sintetizzato: da un lato, la consapevolezza della radicale inadeguatezza della nostra carta costituzionale, del fondamentale contributo che essa ha dato e dà alle tante inefficienze della democrazia italiana è universalmente diffusa. Al punto che da circa trent’anni si tenta, senza mai riuscirci, di modificarla in profondità. Dall' altro lato, schizofrenicamente, si continua a circondare la Costituzione del '48 dell'aura del mito, spargendo retorica sugli «istituti di libertà e democrazia » che essa egregiamente difenderebbe. Come si spiega la singolare coesistenza (talvolta nelle stesse persone) della consapevolezza dei gravi difetti del testo costituzionale e di cotanta vis retorica? In linea di principio non è sbagliato tentare di difendere una costituzione mitizzandola a volte anche al di là dei suoi autentici meriti. Però, ne deve valere davvero la pena. La varrebbe se la nostra fosse simile a quella britannica (che non è un unico testo scritto ma un insieme di convenzioni e di statuti accumulatisi nei secoli), a quella americana o a quella francese della Quinta Repubblica, poiché quelle costituzioni hanno reso buoni servigi alle rispettive democrazie. Ma come si può credibilmente diffondere tanta retorica intorno a una carta costituzionale che ci ha regalato una democrazia acefala, ossia priva di un capo di governo dai forti poteri, e assembleare (l'assemblearismo è una degenerazione del parlamentarismo), un mostruoso bicameralismo simmetrico, e ben 56 governi in meno di sessant'anni, dal '48 ad oggi? E sto parlando, sia chiaro, solo della seconda parte della Costituzione, relativa ai poteri dello Stato e ai rapporti costituzionali. Non mi dilungo, invece, sulla prima parte, quella attinente ai cosiddetti «valori costituzionali ». Mi limito solo a osservare che una Repubblica democratica fondata sul «lavoro» anziché sui diritti di libertà, e nella quale il diritto di proprietà e la libertà economica sono stati rigidamente separati dai diritti fondamentali, ha sempre creato notevoli problemi alle libertà: ad esempio, ci ha lasciato senza anticorpi e difese contro gli eccessi di statalismo e di dirigismo, vizi nazionali dai quali non riusciamo tuttora a sbarazzarci. Non è chiaro perché di questa schizofrenia non riescano a liberarsi nemmeno uomini di qualità e di spessore come, ad esempio, l'ex ministro per la Funzione pubblica, Franco Bassanini. Da un lato, Bassanini apprezza a tal punto le democrazie governanti (quelle vere) da accettare di entrare in una commissione di studio voluta dal f r a n c e s e N i c o l a s Sarkozy, un presidente i cui (enormi) poteri dipendono dalla Costituzione della Quinta Repubblica. Dall'altro lato, Bassanini contribuisce a promuovere un documento, firmato da numerose personalità, teso a ottenere dal costituendo Partito democratico l'impegno a immolarsi sull'altare del più ortodosso conservatorismo costituzionale, a difesa di una Costituzione in virtù della quale abbiamo, e continueremo ad avere fin quando resterà in vigore, una democrazia assembleare e non governante. Poiché chiedere, come fa quel documento, un impegno a blindare l'articolo 138 (quello che riguarda le revisioni costituzionali), equivale a pretendere che mai una vera riforma della Costituzione possa essere realizzata.La Francia, nel 1958, spazzò via, grazie a de Gaulle (all'epoca, stupidamente, considerato un fascista da tanti anche in Italia), una pessima Costituzione molto simile alla nostra e ben pochi colà la rimpiangono. Da noi non è possibile. Troppi sono affezionati ai poteri di veto diffusi, alle capacità di interdizione che la democrazia acefala e assembleare assicura anche alla più piccola delle corporazioni: a scapito, ovviamente, del potere decisionale dei governi. Come ha confermato anche il referendum che ha respinto la riforma costituzionale voluta dal Polo. Riforma che non era, come per eccesso di faziosità si dice nel documento sopra citato, una «controriforma » (lo ha ricordato Piero Ostellino sul Corriere): era piuttosto un riforma con chiari e scuri, che conteneva alcune cose buone (il rafforzamento del potere del premier, la riduzione dei parlamentari, qualche correttivo alla folle riforma del Titolo Quinto voluta dal centrosinistra) e alcune cose cattive (soprattutto, un pasticcio in materia di poteri del Senato). Si dice: la Costituzione ha garantito la democrazia e la libertà anche quando il Paese era diviso fra comunisti e anticomunisti.Mano.Agarantire democrazia e libertà, all'epoca, fu la nostra appartenenza al blocco occidentale e a un'Europa in costruzione. Ciò che quella Costituzione «garantì » fu il fatto che la nostra democrazia fosse una delle più inefficienti all'interno di quel blocco. Peraltro, abbiamo potuto constatare, fin dagli anni 90, che le riforme del sistema elettorale, pur necessarie, non sono sufficienti per ottenere stabili democrazie governanti. E’ un punto, quest’ultimo, sul quale concordo con Andrea Manzella (la Repubblica di ieri) dal quale però mi divide la mia minore deferenza per lo «spirito costituente» del ’47 e, tenuto conto dei gravi errori (riconosciuti dallo stesso Manzella) allora commessi, per la «maggioranza costituzionale » dell’epoca. Siamo costretti a tenerci, antipolitica permettendo, la carta costituzionale che abbiamo e, con essa, la democrazia acefala e assembleare, con la sua paralisi e le sue mille inefficienze. Ci si risparmi almeno la retorica. (Da: http://www.corriere.it/)



di Angelo Panebianco



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Ma però

Primarie Pd/ Brutta furbata il voto agli immigrati senza cittadinanza
Mercoledí 17.10.2007 16:13


Nessun commentatore politico sembra essersene accorto. Ma la furbata veltroniana del voto agli immigrati nelle "primarie" del Pd ha negato alla radice un principio-chiave della democrazia moderna: il principio di cittadinanza. Se infatti l'unica condizione per gli stranieri extracomunitari era quella di avere un permesso di soggiorno in regola, è passato un messaggio per molti versi negativo che non deve essere sottaciuto.
E ne è uscito implicitamente malissimo l'istituto sacrosanto della cittadinanza che è e deve restare alla base del diritto di voto, massima espressione della libertà di concorrere al governo della cosa pubblica. Si obbietterà: ma le "primarie" veltroniane erano un evento in qualche modo "privato", sia pure nato e svoltosi all'interno di un nascente partito. Già, e basterebbe proprio questo chiaro risvolto per giudicare improvvida (e opportunistica) la concessione del voto "facile" agli extracomunitari.
Si votava infatti in chiave strettamente politica addirittura per eleggere il segretario della nuova formazione e possibile futuro premier, il sindaco Veltroni. Non quindi un sondaggio d'opinione, non un esercizio "privato". Ma una mobilitazione pubblica - decisiva, a nostro avviso, quella massiccia di origine ex-Pci - con ripercussioni immediate sul quadro nazionale dei rapporti, appunto, politico-istituzionali.
l segnale che è stato così lanciato, purtroppo nella disattenzione dei "media", equivale innanzitutto a cattiva pedagogia per gli stessi stranieri non cittadini. Perché di fatto si avvalora l'idea che diritto di voto e cittadinanza possano essere due monadi separate. Non è così, a meno che non si voglia sovvertire - con fughe in avanti oggi o domani - il sistema costituzionale liberal-democratico, e cioè il nostro. Il paradosso è poi che lo stravolgimento finisce per danneggiare persino gli extracomunitari.
L'acquisizione della cittadinanza come insegna, fra le altre nel mondo occidentale, l'esperienza degli Stati Uniti - dove nelle primarie di partito votano solo i cittadini americani registratisi - è un passo importante per le sue implicazioni anche esistenziali oltre che d'ordine morale. E con lo scambio di reciproche garanzie fra il Paese che la concede e il nuovo cittadino. Il quale sa di dover accettare senza riserve i principii costituzionali fondanti del sistema in cui entra a pieno titolo. Lo Stato da parte sua, nel riconoscere i diritti, si tutela esigendo che siano assolti i doveri del nuovo status giuridico.
Si tratta in sostanza di un patto vincolante che dev'essere improntato alla lealtà e alla buona fede, con un ovvio onere etico per l'ex-straniero diventato cittadino. Se non se la sente di accettarlo per diverse ragioni (anche culturali) nessuno gliene farà un demerito. Rimarrà un ospite temporaneo. E non potrà concorrere col voto al governo della "respublica" poiché il principio di cittadinanza in un sistema costituzionale che si rispetti è ineludibile. E nessuna mossa "angelista", come dicono i francesi, nel gioco a basso costo delle decisioni di facciata può risolvere il contrasto. Non è vero sindaco Veltroni? (Da: www.affariitaliani.it)



di Achille lega


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Miracolo a Milano le tasse sono diminuite

Diminuire le tasse si può. Non è facile, non è agevole, necessita di capacità amministrative e anche di gestione politica oculata. Comunque si può; quello che è certo è che aumentarle è molto più facile che diminuirle. Milano è l'unico capoluogo di regione che nel 2007 ha diminuito il prelievo fiscale ai cittadini di un buon -4,2% rispetto al 2006. Tanto per intendersi le tasse locali significano: Ici (che tutti sanno bene cos'è), Tarsu (tassa sui rifiuti), Addizionale Irpef (tristemente nota) e, dulcis in fundo, addizionale comunale sull'energia elettrica (come se non bastassero le batoste dell'Enel). Sempre, tanto per intendersi, a Milano il totale per cittadino - in media - è di 470 euro l'anno. Certo, per una famiglia - diciamo non benestante - non sono pochi ma se la stessa famiglia vivesse a Roma ne pagherebbe 654 (con un aumento del +16,8% rispetto all'anno scorso). Il record degli aumenti spetta a Taranto con un buon +32,1% rispetto al 2006 e con 503 euro di media che ogni cittadino deve sborsare. Quando si dice la buona amministrazione. In natura la mano bucata è una patologia. Evidentemente, in politica, è tutto fisiologico. Il problema non è di coloro che hanno la mano bucata è dei cittadini che in quella mano, senza fondo, devono versare parte del loro reddito che, fino a prova del contrario, si sarebbero anche sudati. Intendiamoci: queste cifre a uno ricco gli fanno un baffo. Queste stesse cifre ad un povero gli fanno barba e capelli. Quello che accade a Milano potrebbe accadere nel resto d'Italia. Ma non accade perché le tasse per alcuni politici sono un po' come le passioncelle segrete: nessuno le ammette ma tutti le praticano. (Da: http://www.ilgiornale.it/)



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Roma, 6 ottobre 2007 1° Meeting nazionale del Circolo della Libertà

Finalmente si è celebrata la festa !! Era lì la festa!!
La giornata romana si è conclusa nel miglior modo possibile.

Il pullman del Circolo "Luce del sud" è arrivato in tempo, come da previsioni, alla nuova fiera di Roma dove i soci baresi hanno incontrato i colleghi dei circoli di tutt'Italia. Sono stati gettati ponti e creati gemellaggi per nuove collaborazioni a livello nazionale. La manifestazione è incominciata con il discorso introduttivo dei due Presidenti, Silvio Berlusconi e Michela Vittoria Brambilla. Sono stati invitati poi sul palco dell'enorme capannone della Fiera i Presidenti dei singoli Circoli di tutt'Italia che hanno preso la parola sui singoli problemi dei loro territori. Infine dopo un prolungato discorso della nostra Presidente Brambilla, ha chiuso la manifestazione il lungo discorso del Presidente Silvio Berlusconi. Hanno partecipato alla festa più di 15000 persone che hanno preso posto e assistito al meeting, non tutti a sedere, molti addirittura fuori dal padiglione. L'accoglienza da parte dell'organizzazione e la coreografia sono state eccezzionali, il clima era di grande spettacolo. Erano presenti le telecamere della Tv della Libertà che hanno intervistato quasi tutti i Presidenti e i soci dei circoli della libertà. Il collegamento televisivo è stato aperto con l'intervista completa alla nostra Presidente Dott.ssa Rosa Maria Banfi, che è inoltre intervenuta più volte nel corso dei vari collegamenti. Il nostro auspicio è quello che ci siano più spesso questo tipo di coinvolgimenti infatti l'utilità di queste manifestazioni è quella di riuscire a mettere in contatto tutte le varie realtà nazionali e darci la possibilità di poter far sentire ancora meglio la nostra voce. Ringraziamo la nostra Presidente Michela Vittoria Brambilla e...

Ad maiora!!


di Nicola Sciortino





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Regione Puglia: Persi fondi CIPE

La Regione Puglia ha perso 57 milioni di euro sulla delibera Cipe 17/2003 a causa della incapacità della giunta regionale di impegnare le risorse entro le date previste dalla Delibera. La Giunta regionale infatti, pur essendo a conoscenza delle scadenze fin dal primo momento del suo insediamento, non ha neanche chiesto una proroga al Governo o al Cipe per cercare di salvare quei finanziamenti. Il Cipe quindi non ha potuto far altro che applicare il meccanismo delle sanzioni previsto per le Regioni inadempienti e togliere alla Puglia i fondi che erano destinati a finanziare interventi per beni culturali, difesa
del suolo, ricerca, sicurezza, società dell’informazione, trasporti, ambiente.
Lo ha confermato il viceministro allo Svilippo economico con delega al Mezzogiorno
Sergio D’Antoni, rispondendo in aula alla Camera ad una interpellanza presentata da circa
40 deputati di Forza Italia tra cui Raffaele Fitto.


di Eleonora De Giorgi



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Via Sparano oggi e domani

Da più di un anno se ne parlava.
Ecco che quindici giorni fa il progetto "Bari crossing" presentato dall'architetto Guendalina Salimei, è stato prescelto (in gara 61progetti) per cambiare l'aspetto di via Sparano. Non usiamo la parola look, perchè qui a quanto si capisce si tratta di una vera e propria rivoluzione: si vogliono togliere le palme, simbolo della pace e della nostra mediterraneità, per riposizionarle (si dice) a piazza Umberto, che potrebbe divenire a questo punto una vera giungla, dando così ancor più possibilità di insediarsi a persone e cose senza fissa dimora.
Cosa dire di quei sedili, che permettevano di riposarsi e scambiare due parole con il vicino? Questi attimi di aggregazione e socializzazione erano quanto mai cari e preziosi in una città che non ha mai avuto, fino a pochi anni fa, spazi verdi e rilassanti.
Questo nuovo assetto di via Sparano cosa ci porterà?
I 3.2 milioni di euro preventivati non potevano essere spesi diversamente?
Cambiando via Sparano, cosa si aspettano i politici e i commercianti, che i cittadini e i pochi turisti, come per incanto, si ritrovino le tasche piene, per spendere e spandere, bisogna dire basta a queste megalomanie. Nelle famiglie prima di imbarcarsi in spese coreografiche si pensa ai beni primari, questo è quanto dovrebbe fare la pubblica amministrazione. Bisogna pensare alle cose utili e reali, non a sogni da ras di provincia.



di Rossella Rampichini


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