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È arrivata la bufera

Sono incline ad assolvere Romano Prodi. Chiunque al suo posto avrebbe fatto peggio di lui. Ma ora tocca a Veltroni tentare l'azzardo per uscire dal pantano dell'Unione

È stato sarcastico Clemente Mastella: "Veltroni vincerà le elezioni nel Duemilacinquecento dopo Cristo". Con tutti i guai che lo affliggono, il capo dell'Udeur ha trovato il tempo per farsi beffe del leader del Partito Democratico che ha deciso di andare da solo al prossimo confronto elettorale. Ma non è stato l'unico a bacchettare Superwalter. Un burbanzoso Massimo D'Alema gli ha dato dell'intempestivo. Rosy Bindi è risalita sul cavallo da sceriffa e si è messa in caccia di Walter il fuorilegge. Persino quel verdone di Paolo Cento non si è trattenuto: "Veltroni sta correndo verso una sconfitta solitaria". Ma è davvero così sciocco e avventurista il segretario del PD? Con la decisione di puntare soltanto sul proprio partito, senza alleanze preventive, sta realizzando un'inconscia vocazione al suicidio? Penso proprio di no. Superwalter si è limitato a prendere atto di quello che è accaduto a Romano Prodi, prima e dopo le elezioni del 2006. E ha avuto la schiettezza di dire che il centro-sinistra non esiste più. Non soltanto quello di oggi, la sciagurata Unione, ma anche quello di domani, se costruito con le stesse regole pazze.Su quali dati di fatto ha ragionato Veltroni? Immagino su quelli che i cronisti non cortigiani hanno visto nell'inferno vissuto da Prodi e dal suo sfiancato governo ormai alla fine. L'Unione, esempio tragico di iper-coalizione fra incompatibili, già prima del voto ha cominciato a sparare una raffica di no contro il proprio candidato premier. Il Prof voleva presentare una sua lista, distinta dagli altri partiti unionisti. Ma gliel'hanno impedito, nel timore di renderlo troppo forte. Allora, Prodi ha chiesto di poter contare su un numero consistente di parlamentari suoi e glie ne hanno concessi soltanto cinque. Prodi ha domandato di presentare la lista dell'Ulivo non soltanto alla Camera, ma anche al Senato. E la risposta è stata sempre no. Il motivo? Nessuno l'ha mai capito. Poi si è constatato che la presenza dell'Ulivo a Palazzo Madama avrebbe reso meno anoressica la maggioranza in quel ramo del Parlamento.
Nel frattempo i dieci partiti del centro-sinistra si stavano dilaniando sul programma della coalizione. Nessuno ha voluto rinunciare a nulla. Con un risultato alla Fantozzi: un messale di quasi trecento pagine, un monumento cartaceo all'impotenza vorace della casta unionista. Subito riflessa nella composizione del governo: un mostro di centodue o centotre fra ministri, viceministri e sottosegretari. Con una serie di dicasteri spacchettati, una minutaglia senza compiti reali e priva di portafoglio. Inventati al momento, per soddisfare le voglie di qualche pennacchione o pennacchiona. Infine, questa catena di errori è stata resa ferrea dall'errore più grande: la certezza arrogante di stravincere. Ce la ricordiamo la convinzione superba che l'epoca del cavalier Berlusconi fosse chiusa per sempre? Per l'intera campagna elettorale venne recitata la stessa litania: il Caimano è morto e sepolto, dopo il voto il Genio del Male dovrà fuggire da Arcore, per rifugiarsi all'estero. Un truppa giuliva di scrittori, polemisti, cineasti, comici, vignettisti si precipitò a dare l'assalto al cadavere del Berlusca. Tutta la campagna per il voto di aprile ebbe lo stesso segno presuntuoso e incauto. Sotto le tende dell'Unione si vide troppo di tutto. La fretta di considerare l'Unipol un incidente passeggero. Le candidature dei parenti, piazzati in posizioni blindate e scaraventati in Parlamento. Gli sprechi dei tanti ras nelle regioni e nelle città rosse. L'alterigia nel dichiarare (lo fece D'Alema) che Berlusconi, mandato al tappeto per sempre, non avrebbe potuto guidare neppure l'opposizione. La storia del dopo-voto, ossia la vita perigliosa del governo Prodi, è troppo nota per essere ripercorsa. Proprio mentre si apriva la crisi finale del sistema partitico, l'Unione ha consegnato al Prof un'automobile sfasciata in partenza, con pochissimo carburante (una maggioranza parlamentare troppo esigua) e un clima avvelenato dai contrasti feroci fra i passeggeri, i partiti unionisti. Sono stati loro i primi a tradire il patto con gli elettori. È ridicolo accusare di questo Mastella. Lui un fellone? Può darsi. Ma in coda a tutti gli altri.

E le colpe di Prodi? Confesso che sono incline ad assolverlo. Nelle condizioni che ho descritto, chiunque al suo posto avrebbe fatto assai peggio di lui. Possiamo imputargli di essere stato troppo cocciuto, una testa quadra reggiana. Ma per un premier queste sono qualità, non difetti. Nessuno può chiedergli di gettare la spugna prima del tempo, prima dei due voti di fiducia. Nel pretenderli è stato corretto. Tuttavia, suggerisco al Professore di non voler sopravvivere a se stesso. E gli rammento che, dall'aprile 2006 in poi, il famoso Fattore C, il suo portafortuna, troppe volte ha fatto cilecca. Veltroni ha ricavato molte lezioni da quello che è accaduto a Prodi. E ha fatto una scelta saggia nel decidere che il PD andrà da solo al voto, qualunque sia la legge elettorale. Pochi hanno riflettuto su un dato importante: Veltroni aveva preso questa decisione ben prima di annunciarla. In proposito, ho un ricordo che risale al 19 novembre 2007. Ero andato a intervistarlo per 'L'espresso' e gli avevo chiesto se la 'vocazione maggioritaria' del PD non fosse un'utopia. Come mi suggeriva il bottino elettorale dell'Ulivo nel 2006: il 31,3 per cento dei voti, un dato buono, ma per niente maggioritario. Sono andato a rileggermi la risposta di Veltroni alla mia obiezione: "Stia attento: i flussi elettorali sono molto più veloci e forti di quel che pensiamo. L'opinione pubblica ha una grande mobilità. Giudica l'offerta. Valuta il leader. L'elettorato di appartenenza va diminuendo. Quindi avere un grosso risultato elettorale è possibile. A condizione di essere quello che si è deciso di essere". Come direbbe un politologo patentato? Gli elettori reagiscono all'offerta politica modificando le proprie convinzioni e, dunque, il proprio voto. È possibile che l'offerta di Superwalter (un partito nuovo che si muove da solo) abbia successo. Qualche segnale si sta avvertendo. Certo, è una scelta rischiosa. Ma inevitabile per un leader che voglia uscire dal pantano dell'Unione.Davanti a Veltroni c'erano due strade. L'andare con lo schieramento di oggi, quello dei Dieci Partiti Rissosi, garantirebbe soltanto la sconfitta. L'andare da solo gli offre una speranza di vincere. Tra la certezza di perdere e la possibilità di farcela, per remota che sia, non esistono dubbi: meglio l'azzardo che la morte sicura. Non c'è leadership senza rischio. Del resto, ripetere lo sfascio dell'Unione sarebbe assurdo: meglio chiudere subito la bottega del PD. Di qui alle prossime elezioni, vicine o lontane che siano, Veltroni dovrà scalare l'Everest con le scarpe da tennis. Avrà contro anche più di un'eccellenza democratica, come stiamo vedendo. In più, la crisi del sistema dei partiti è al culmine. Siamo nella giungla. Vicini a una guerra civile parolaia e smargiassa. Il discredito montante rende la casta sempre più aggressiva e spietata, come succede sempre quando un regime sta morendo. La campagna elettorale sarà un salto nel caos. Chi ha visto alla tivù l'ultimo 'Ballarò' è rimasto atterrito dalla ferocia dello scontro fra Pecoraro Scanio, la Bindi e Casini. È arrivata la bufera, è arrivato il temporale: così cantava Renato Rascel, un famoso attore comico di tanti anni fa. Oggi accadrà di peggio. L'intolleranza armata, per ora soltanto di insulti, è diventata la condizione normale del dibattito politico. Chi può fermare questa discesa nel caos ha un obbligo al quale non può sottrarsi. Un vecchio motto di Giulio Andreotti recitava: meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Ma oggi quel detto non vale più. Oggi non sono in gioco le cuoia di un premier. Oggi è in gioco la pelle di un'Italia sfortunata, che rischia di assomigliare ai suoi politici peggiori.
(Da: http://www.l'espresso.repubblica.it)


di Giampaolo Pansa



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