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PRODI SE N’E’ ANDATO E NON RITORNA PIU’.

“Prodi se n’è andato e non ritorna più”: è da ieri sera che questo ritornello mi torna irrefrenabilmente sulle labbra, anche se con spirito opposto, un esilarante senso di liberazione, a quello, struggente, della bella canzone che ha lanciato Laura Pausini.
Forse mai nella storia della Repubblica un governo è caduto con tanta soddisfazione per la stragrande maggioranza degli Italiani, avendo i suoi predecessori anche più controversi lasciato rimpianti e comunque apprensioni per l’avvenire.
Prodi se n’è andato invece lasciando soltanto macerie, sia sul fronte delle politiche del governo che negli ultimi giorni avevano fatto vivere al nostro Paese le cocenti umiliazioni dello spettacolo nauseabondo dell’immondizia campana e dell’indegno sgarbo al Papa, sia sul terreno della politica con il definitivo affossamento di una alleanza che pure sembrava l’avveramento di quell’invincibile “macchina da guerra” che vagheggiava il povero Occhetto, una formidabile armata che poteva annoverare a suo favore non soltanto il controllo della quasi totalità dei pubblici poteri, ma anche la condivisione di quelli “forti”, dalla Suprema Corte alle Procure della Repubblica, dalla piovra delle Banche ai Sindacati egemoni fino ai baronati della cultura ed al dominio preponderante dei mass-media.
Occorreranno anni per rimediare ai suoi disastri, che ci hanno fatto perdere l’occasione di una forte ripresa dell’economia internazionale per inseguire politiche retrive e regressive pesantemente segnate da un’ideologia comunista sempre più obsoleta e fallimentare, che hanno coscientemente azzerato –o quanto meno gravemente svuotato- le riforme necessarie per la competitività del sistema-Italia, dalla legge-Biagi sul mercato del lavoro che ha consentito una crescita costante dell’occupazione anche in presenza di una negativa congiuntura internazionale, a quella pensionistica che rendeva sostenibile il nostro sistema previdenziale a garanzia soprattutto delle giovani generazioni, dalla “legge-obiettivo” sull’ammoderrnamento infrastrutturale del Paese –ribaltata dalla politica del “no” a tutto ed al contrario di tutto impersonata da Pecoraro Scanio- ad una riforma fiscale che aveva finalmente iniziato ad alleggerire il peso opprimente delle tasse sulla società italiana, a sua volta schiacciata dalla insaziabile e sadica voracità di Padoa Schioppa e Visco, per finire alla grande Riforma Costituzionale i cui capisaldi- dal premierato all’eliminazione del bicameralismo perfetto- sono non a caso stati ripresi pari.pari da Violante in una sorta di progetto-fotocopia, mentre p tornata ad incombere la parte peggiore del pur tanto vituperato federalismo, che è quello fiscale.
Certo è che l’Italia di Prodi, che pure si è giovata di circostanze infinitamente migliori, è molto più povera, più sputtanata e più incazzata di quella di Berlusconi, con il Cavaliere che passa da un trionfale bagno di folla all’altro ed il Professore che non può più permettersi di mettere il naso fuori dal Palazzo se non vuole essere sommerso di fischi e di sberleffi.
Adesso faranno di tutto per evitare la meritata punizione da parte degli Italiani, anche perché ad un Centro-destra ricompattato in cui la leadership di Berlusconi, la cui tanto irrisa “spallata” infine è riuscita, si è nuovamente rafforzata, corrisponde una “Unione” sconfitta e spaccata, monca della sua pur debole componente moderata e lacerata tra un PD a sua volta diviso tra la voglia di solitudine di Veltroni da un lato e gli inestinguibili rancori di Prodi e le resistenze delle vecchie nomenclature dall’altro, ed una “Cosa Rossa” a sua volta abortita prima di nascere.
Ma l’Italia ha bisogno di una svolta profonda, che passi prima attraverso una vittoria secca di un Centro-destra emancipato dalle ambiguità di taluni suoi pur autorevoli leaders, e poi per una sua alleanza forte per le grandi riforme con un PD a sua volta emancipato dagli ultimi residui dell’arroganza prodiana e magari anche del cinismo dalemiano. Sull’altare della quale, a vittoria del Centro-destra conseguita, si può, e forse si deve, anche pensare ad una grande coalizione che restituisca alla politica il suo primato anche rendendo stabili le riforme stesse.
Purchè un Centro-destra forte la guidi compatto e Veltroni si liberi delle palle al piede di un conservatorismo di sinistra che ha determinato più di ogni altro fattore la caduta di un premier cinico ed arrogante che gli si era furbescamente consegnato, ben sapendo che il conto lo avrebbero pagato gli Italiani.


di Tommaso Francavilla



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